CONFERENZA MAGISTRALE
di James Hillman
Traduzione di Margherita Fiorello
Pubblicata nel n° 129 di Linguaggio Astrale
All’interno delle sue sfere,
il Cielo trattiene la metà di tutti i corpi
e di tutti i mali
(Paracelso)
Sicuramente riconoscerete che il fatto che io sia qui mostra una considerevole audacia: chutzpah, forse (1). Questo è il vostro settore di competenza, non il mio; la vostra professione, non la mia; la vostra responsabilità.
Il fatto che non abbia alcuna responsabilità né in questa antica arte, né in questa stimata – e altrettanto malignata – professione, mi permette di non sentire il peso di quanto penserò e dirò stamani. Solo in virtù di questa irresponsabilità, mi posso sentire libero abbastanza di dire quello che penso possa servirvi.
Al contrario dell’impegno che voi mettete nel vostro lavoro e nella vostra arte, il mio è solo un interesse costante, forse anche un amore, per l’astrologia come fenomeno archetipico, vale a dire diffuso, senza tempo, irresistibile, che tocca le corde interne e pieno di risorse, ma allo stesso tempo enormemente pericoloso. Tuttavia, a ragione di queste qualità l’aggettivo archetipico è decisamente appropriato.
Se è archetipica, l’astrologia è qui per restare, e poiché è destinata a non passare, deve essere archetipica. Ed io sono certo che non passerà.
Lo storico della cultura Theodore Zeldin scrive: “nel 1975 un gruppo di 192 eminenti scienziati, fra cui 19 premi Nobel, guidati da un professore di Harvard, firmarono un manifesto in cui si dicevano molto preoccupati della crescente accettazione dell’astrologia in varie parti del mondo… Uno dei firmatari, un professore di astronomia dello UCLA, si lamentò del fatto che un terzo dei suoi studenti diceva di credere nell’astrologia, e lo stesso faceva sua moglie”. Zeldin va avanti affermando che un terzo della popolazione francese ed inglese ammette di credere nell’astrologia e che in Francia (“dove la lucidità è la virtù nazionale”) il 90% della popolazione conosce il proprio segno zodiacale. (2)
Prima di andare oltre dobbiamo dire qualcosa sulla pericolosità di un archetipo. Il potere penetrante dell’astrologia mi colpì 45 anni fa a Zurigo quando mi tracciarono il primo tema di nascita, sebbene sin da prima conoscessi il suo linguaggio stenografico e simbolico. Questo interesse costante, questa fascinazione, questo amore, non mi ha mai lasciato.
Voglio essere chiaro: non ci credo, non la pratico, né capisco come funzioni, anche se l’astrologia è uno dei linguaggi di base in cui formulo le mie riflessioni psicologiche. Semplicemente, per me, l’astrologia riporta gli eventi agli Dei. Tutto dipende dal fatto che le sue immagini provengono dal cielo. Essa invoca in senso metaforico, poetico, mitico, politeistico, ciò che è imprevedibilmente reale. Questo è ciò che rende l’astrologia un’arte, un linguaggio, una maniera di pensare, terribilmente efficace. Nella mente popolare è la conferma di una grande tradizione che ci tramanda che gli esseri umani vivono in un cosmo intelligente, che dà risposte più grandi di quanto possano essere le domande umane. Ci obbliga ad immaginare e a pensare in termini psicologici. Inoltre non si fonda sulla fede per un unico Dio – è politeista – e marcia controcorrente rispetto al pensiero dominante della storia occidentale.
Prendo in prestito il termine “efficace” da Paracelso. che scrisse: “Divenne un medico solo quando si accorse che ciò che non è ancora nominato, che è invisibile ed immateriale è tuttavia efficace”. Ed ancora prendo a prestito questo termine dalla interpretazione delle posizioni planetarie e delle relative influenze fatta dai neoplatonici. Nel Rinascimento, o forse anche prima, essi fornivano una lettura benigna, efficace anche dei pianeti considerati più maligni, come Saturno, e delle più tremende costellazioni. Tutti gli Dei ci riempiono di benefici; è compito dell’essere umano, dell’interprete scoprirli. Altrimenti ci lasciamo sfuggire le benedizioni e le scambiamo per maledizioni.
Durante le mie peregrinazioni, scoprii i benefici di Saturno, mentre mi trovavo a Roma qualche anno fa. Stavo osservando un vecchio tempio di Saturno, chiuso ai visitatori. A Roma si dice chiuso per restauro. Il restauro durava da circa cinquecento anni, e ne sarebbe durato altri cinquecento: è il modo della Chiesa cattolica di tenere lontana dal presente la vecchia religione politeistica, impedendo l’accesso degli edifici dell’antichità ai visitatori. Molti templi sono in restauro o architettonicamente pericolanti, oppure devono essere ricostruiti…
Ad ogni modo, stando lì mi venne in mente che le maledizioni di Saturno che mi avevano afflitto (freddezza e distacco, ossessioni del pensiero, sindromi depressive che mi paralizzavano nell’azione, preoccupazioni materiali, goffaggine nell’utilizzo di congegni elettronici o in generale di cose a me non familiari, fardelli di responsabilità, periodi di rigidità e intrattabilità verso gli altri e verso me stesso), tutte queste maledizioni erano state valutate sono per la loro apparenza. Non avevo afferrato la loro efficacia: come esse mi avevano protetto, tenuto sulla via fedele alla mia vocazione, lasciato il tempo di pensare ed apprezzare la solitudine e come avessero permesso che la mia tendenza all’ordine fosse sconfitta in favore dell’assenza e del vuoto. In altre parole le maledizioni che attribuivo a Saturno erano delle benedizioni. Quel giorno compresi che siamo noi che facciamo di Saturno un pianeta sinistro e maledetto interpretando le sue benedizioni in una visione ristretta ed oppressiva, come pesanti fardelli piuttosto che carichi doni. Scordiamo una metà; la parte celeste del male. Per questa ragione non c’è un Dio che ci maledice; siamo noi che abbiamo maledetto Dio, mal interpretando la sua efficacia.
L’astrologia neoplatonica attribuì le ragioni della nostra caparbietà, della tendenza al vittimismo, simboleggiate da Saturno nel fatto che le nostre anime sono intrappolate nella stupidità del Naturalismo, del prendere tutto alla lettera. Prendiamo alla lettera le nostre sofferenze, comprendiamo le cose solo come ci appaiono ai sensi, insistiamo sul fatto che solo ciò che è concreto è reale. Questo errore di comprensione è causato dal fatto che le nostre anime sono prigioniere della Hyle, parola greca che vuol dire “forma di legno”. Se è davvero così, il viaggio dell’anima, come lo descrive l’alchimista Michael Meier, comincia da Saturno e si conclude in Saturno, comincia dal farci sentire vittime e oppressi mentre, nascoste dalla “legnosità” delle nostre menti, troviamo tutte le benedizioni del Dio il cui vero scopo, scrive chi conosce il segreto, è condurre all’illuminazione guidando l’intelletto verso la conoscenza di ciò che è buono e utile.
Non dobbiamo dimenticarci che efficace non vuol dire positivo. I doni di Saturno possono essere veramente oppressivi e limitanti. Un dono spesso non è solo quello che sembra: dobbiamo incartare i nostri regali in belle confezioni, per nascondere il fatto che ogni dono è potenzialmente negativo. In inglese la parola dono è “gift”, ma Gift è anche la parola tedesca per veleno. Questo è talmente evidente che in alcune culture, come quella cinese, il regalo può essere usato come maledizione occulta, subliminale, che tiene legato chi lo riceve, se questo non provvede prontamente con un contro-regalo. Allo stesso modo, per noi occidentali, nel ricevere un regalo più aspettiamo a scrivere un biglietto di ringraziamento, più diventa difficile farlo. Un regalo, una volta scartato dal suo bell’involucro, mostra la sua maledizione latente…
La lettura di un oroscopo alla maniera dei Neoplatonici restituisce quanto dovuto agli Dei, ma non è un banale rendere le cose positive a tutti costi. Semplicemente, una lettura efficace rifiuta di dividere le cose in negative e positive, ed allora un quadrato può diventare Beethoven, un trigono Forrest Gump. Una lettura efficace dell’”altra metà” invisibile che condiziona i nostri corpi ed i nostri mali, come dice Paracelso, non significa una lettura fortunata di pianeti fortunati in posizioni fortunate. Giove in Leone in seconda od in decima casa non significano solamente ottimismo, magnanimità, calore umano; sappiamo che essi indicano anche esagerazione, prodigalità, entusiasmo indiscriminato. Le spiagge a cui Giove ci fa approdare possono essere luoghi avventurosi, ma anche distruttivi ed esagerati. In ogni caso dobbiamo considerare la posizione culturale della persona che abbiamo di fronte, di cui stiamo analizzando la carta.
Voglio approfondire il concetto di posizione. Un essere umano ha una posizione, una carta ha la sua posizione. Il momento della nascita è sempre situato in un luogo che non è solo una coppia di coordinate, latitudine e longitudine. Quel posto ha la sua cultura, la sua natura, la sua storia, la sua politica, una geografia, una lingua, uno stile, un carattere. Un luogo non è solo un incidente della nascita, ma è l’unico e solo posto di cui Plotino disse parlando delle quattro cose che un’anima sceglie: i propri genitori, il proprio corpo, la propria sorte, ed un luogo per entrare nel mondo (3).
Il luogo che si è scelto per vivere e per entrare nel mondo importa all’Anima. E questo dove ci riporta al modo in cui gli astrologi costruiscono una carta.
Un abitante della Bay Area può rispondere frettolosamente ad un “buongiorno”: un segno d’assenso, un sorriso, così come gli è stato insegnato in famiglia. Nel Maine, un “buongiorno” può avere come risposta “ho altri progetti”. A Manhattan “si faccia gli affari suoi” e in Alabama “grazie, grazie di cuore, buongiorno anche a lei, spero che torni presto!”… Sottolineo il fatto che queste differenze nelle risposte corrispondono a differenze geografiche: non è importante adesso sapere a quale segno zodiacale corrispondano Bay Area, Maine, Manhattan, Alabama, quanto sottolineare l’importanza del luogo nel fare una carta, perché ogni posto ha il suo umore ed il suo tempo, la sua atmosfera e la sua vegetazione, la sua storia e la sua cultura.
La diagnostica psichiatrica considera il luogo come parte del quadro clinico. Mi ricordo di un mio insegnante in Svizzera che ci avvisava circa le diagnosi maniaco-depressive: siate certi del luogo di provenienza del vostro paziente, perché quella che sembra depressione può essere la condizione normale nelle scoscese e rocciose vallate dell’interno della Svizzera, e quella che sembra mania è il comportamento abituale dei Bavaresi. L’ospitalità polinesiana ed il rigore spartano sono più che leggende, sono determinanti; il sentimento civico di Minneapolis e le atmosfere decadenti di New Orleans sono atmosfere di luoghi planetari, che dipendono dalla loro posizione per il carattere e il destino allo stesso modo dei pianeti di una carta.
All’inizio del mio discorso ho detto che l’astrologia è archetipica, estremamente potente e pericolosa allo stesso tempo. Voglio ora parlarvi dei pericoli, lo stesso pericolo che ho combattuto per molti anni, in molti scritti, in molti modi: la tendenza all’interpretazione letterale. Nello specifico, oggi, l’interpretazione letterale in astrologia.
Due tipi di interpretazione letterale affliggono l’astrologia, che come la psicoanalisi tende a divenire una fede fondamentalista. La prima ha a che fare con il tempo. Io la chiamo interpretazione letterale-temporale. Si nutre di calcoli, tavole, “esattitudini”, minuti e secondi. Non si fa troppe domande sulla qualità del Tempo, ma è imprigionata piuttosto dalla sua misura. Penso che si possano fare dei calcoli matematici, ma si debba guardarvi meno come ad una accurata misura del tempo e più come ad un rituale, un teurgico “abracadabra” che serve a costellare la visione interiore, la capacità di focalizzare, ad elaborare una modalità di distacco; come in altre arti, come in medicina, si usano misure attente ed accurati dosaggi, anche in culture meno tecniche della nostra. Ma questo non è che un rituale per focalizzare l’attenzione e rifinire la propria tecnica piuttosto che un modo di spiegare i risultati di ciò che sta avvenendo, è avvenuto o avverrà nella inconoscibile sfera invisibile, l’altra metà al di là del nostro mondo.
Contemporaneamente, liberandoci dell’attaccamento al tempo possiamo sbarazzarci dell’altra potente tentazione che prende di mira gli astrologi: quella della predizione.
La seconda tendenza è infatti l’influenza causale dei corpi astrali o dei pianeti fisici. Essa si basa sulla convinzione di poter conoscere “l’altra metà”, quella celeste, ed attraverso precisi calcoli matematici (di cui abbiamo parlato a proposito della interpretazione letterale-temporale) attribuire una relazione di causa-effetto a queste forze celesti.
Credo sia necessario smontare queste modalità di pensiero letterale, credo che il compito dell’astrologo sia quello di pensare poeticamente e metaforicamente, non adoperando la logica di causa-effetto a cui obbedisce la scienza newtoniana. Non penso che sia necessario attribuire ai pianeti o alle costellazioni il ruolo di cause, e allo stesso tempo non mi importa di sapere perché l’astrologia funziona. Sarebbe meglio lasciar lavorare la carta come se fosse un mantra che ci può offrire preziose rivelazioni, uno sguardo “al di là”, una mappa dell’invisibile, un compendio di poteri nascosti che lavorano all’unisono. Potremmo parlare di questi poteri come di Dei che governano, di forze che influenzano. Senza pretendere di conoscere dove questi poteri risiedono, come agiscono, cosa vogliono dire.
Quello che voglio suggerire è un modo di interpretare la carta meno metafisico o teologico e più fenomenologico, prendendo le cose così come esse appaiono, avulse da speculazioni sulle origini, cause, spiegazioni o teorie. E’ lo stesso modo in cui io procedo con la psicologia. Non ho una teoria dei sogni – da dove vengono, cosa vogliono dire, da cosa sono prodotti. E allo stesso modo non ho teorie dei sintomi, delle nevrosi, della follia, della salute psichica. E nemmeno conosco le cause di tutti i fenomeni con cui vengo in contatto ogni giorno nella pratica professionale. Non so cosa causi gli eventi che i miei pazienti mi raccontano, e non me ne preoccupo. Non attribuisco all’abuso di un padre o all’abbandono di una madre una relazione di tipo causa-effetto. Invece, studio il fenomeno. Osservo quello che si presenta – i problemi, le immagini, il dolore, i rovesci del destino – cercando di preservare il fenomeno dalle spiegazioni, per concentrarmi su quello che vedo. Prendo ogni cosa per come appare. Cerco di mettere in pratica quello che da sempre la filosofia orientale ed occidentale ci hanno insegnato, e cioè che il nesso di causa-effetto è illusorio. Dirò di più: esso diventa il modo di non affrontare il fenomeno che ci sta di fronte.
Questo concetto è ciò che sottintendo quando dico di non comprendere l’astrologia e di non fare niente per capirla. Per me è sufficiente sapere essa è efficace, portatrice di innumerevoli rivelazioni.
Allora un quadrato Giove-Saturno in segni fissi, come il mio, od una Luna o un Plutone isolati, collegati ad altri pianeti solo con aspetti minori o addirittura senza aspetti, non saranno più cause di problemi od errori, sventure o sforzi. Queste posizioni della carta diventeranno invece spunti di meditazione, immagini simboliche di una più vasta produzione mitica; esse diventano doni degli Dei, archetipi.
Quello che sto cercando di fare è mostrare il parallelo tra un approccio archetipico e fenomenologico nella pratica psicologica e nella pratica astrologica. Sto cercando di distinguere tra pratico ed empirico; l’astrologia è una arte pratica, ma non una scienza empirica. Per essa, alcuni, come i Gauquelin, possono cercare una base empirica raccogliendo una serie di dati statistici, ma io non ne ho bisogno. Possiamo stabilire il valore e l’autenticità di un’arte attraverso dati statistici? La nostra evidenza, sia nell’astrologia che nella psicologia, non è di tipo scientifico, ma si basa sull’essere umano: i suoi racconti, le sue testimonianze, le sue rivelazioni.
Forse non dovrei trattare in modo così netto la distinzione tra pratico ed empirico. Infatti in origine “empirico” non significava seguire il moderno metodo scientifico, ma si riferiva tradizionalmente ai medici, ai fisici e a tutti colori che praticavano la loro arte attraverso le loro osservazioni e la loro esperienza piuttosto che su studi teorici. Quello che vorrei dire è che per noi non è necessario avere delle teorie che spieghino le nostre esperienze astrologiche e/o psicologiche in base a cui esercitare le nostre professioni; tutto ciò che ci serve è dedicarci ai fenomeni; dobbiamo studiarli, averne attenzione, osservarli, ascoltarli in modo tale da essere responsabili del nostro lavoro.
Devo confessarvi che prendo alla lettera la prima parte della frase di Paracelso: “Il cielo trattiene, all’interno delle sue sfere”… e non cavillo sulle parole “metà” e “tutti” della seconda parte. Non penso che egli intendesse la metà matematica, il cinquanta per cento. Penso che egli intendesse che noi conosciamo solo mezza verità, un rimedio parziale, una visione errata se dimentichiamo il Cielo. E quanto alla parola “tutti” debbo pensare che tutto il Cosmo subisca le influenze celesti, a meno che non si voglia pensare che alcune delle sue parti non partecipino ad esso, e che alcuni eventi e alcuni corpi siano indipendenti dalle sue leggi.
Ma quelle prime parole, “il Cielo trattiene” – qui si nasconde il mistero! Cielo. L’origine ultima di questa parola rimane sconosciuta; e mi piace pensare che il suo significato più profondo sia proprio questo: l’ignoto. Esso viene definito come “al di là delle nuvole”, mentre al plurale – cieli – indica le regioni, le schiere, le gerarchie da cui siamo governati, al di là ed ignote, e a cui non solo ogni vita ma ogni singolo momento aspira come al proprio ultimo fine. Celeste è un attributo del divino, un po’ come quando infreddoliti assaggiamo una densa cioccolata fumante e ci lasciamo sfuggire un “celeste, divino”. Al “settimo cielo” troviamo la più grande felicità, e nei cieli è la dimora degli Dei…
Paracelso ci dice anche che questo Cielo che governa metà delle nostre esistenze, non solo è invisibile al di là delle nuvole, fuori della portata umana, ma horribile dictu afferra, trattiene, preserva, non si lascia scappare metà delle nostre vite, dei nostri corpi e delle nostre sofferenze. E’ sotto l’influenza di un Dio saturnino, anale e ritentivo, un Dio assente che tiene in mano metà delle nostre vite, ma allo stesso tempo non mostra il suo volto, non si apre? Penso che ai tempi in cui scriveva potesse essere la visione del Cielo prevalente, ma che egli non fosse un tale figlio di Saturno e non pensasse queste cose. Mi piace pensare che egli ponga l’attenzione sulla metà invisibile delle nostre vite, la parte astrologicamente governata dalle sfere celesti, fuori dalla portata delle scienze naturali e dalla comprensione strettamente materiale. Possiamo cercare di raggiungere il Cielo attraverso la speculazione teologica, il misticismo, la poesia, la matematica, ma il Cielo trattiene i suoi segreti e le sue sfere sono chiuse ermeticamente. Consci di ciò, noi esseri umani dobbiamo vivere in un mondo fatto di mezze verità e vedere come in uno specchio oscuro, e ci rivolgiamo all’astrologia per cercare di ritornare al cielo, alla fonte invisibile che condiziona i nostri corpi ed i nostri mali. In termini junghiani, siamo in cerca di Dio non solo nella malattia, ma nel disagio che chiamiamo vita. L’astrologo risale all’origine degli eventi fino alle loro radici celesti, liberando le persone dai lacci della materia fino al Cielo. Da qui il sentimento di aver ricevuto una rivelazione che ci prende di fronte ad un’interpretazione particolarmente pregnante: le porte del cielo si aprono e le due metà tra cielo e terra si ricongiungono; l’astrologia diventa una arte divina, ma mai divinatoria.
Il compito dell’astrologo, come quello dello psicologo del profondo, è dare nuova vita agli Dei piuttosto che portare i doni degli Dei nella nostra vita ed ogni insight, ogni patologia, ogni cosa bella o brutta che può collegare ai pianeti tiene vivi gli Dei. Questo processo di connessione degli eventi visibili ai celesti Invisibili, che nella dottrina cristiana si chiama redenzione, mi piace più assimilarlo al processo di epistrophè del Neoplatonismo, o del ta’wil nel misticismo persiano. Questa concezione vuole che l’intero universo sia riempito dall’innato desiderio di ricongiungersi con la sua fonte prima, la sua essenza archetipica, l’altra metà in cielo.
Allora un ascendente Gemelli come me, con tutti suoi difetti – la debolezza di carattere, l’attenzione spesso distratta, la duplicità, la tortura di essere due cose e sentirne tutta la tensione, con il fascino e l’impazienza, la tendenza alle bugie, la sveltezza della lingua, la sensibilità sovraeccitata, le dita svelte ed il pettegolezzo, lo stress che deriva dall’agitazione – tutte queste caratteristiche appartengono al mio carattere, che è il deposito celeste nella mia anima, un tesoro fatto di argento vivo e mercurio, un metallo ed allo stesso tempo un corpo celeste che la mia vita può rendere brunito e fare lustro ed utile. Questo perfezionamento dei difetti è la “costruzione dell’anima” di cui parlano scrittori come Blake, Keats e Lawrence. Essa restituisce agli Dei ciò che essi ci hanno dato in pegno per la nostra vita sulla Terra, rendendolo rifinito e sofisticato, tanto per usare la terminologia degli alchimisti.
Ogni volta che una consultazione astrologica può servire a trasmutare un difetto in una qualità divina, a lucidare un problema affinché brilli in una luce diversa, a rivelare il Dio in un momento di dolore, a lasciare intravedere al cliente uno scorcio dell’altra metà celeste, allora l’astrologo sta celebrando una epistrophè, sta trasformando il caos dell’umano in un mito degli Dei.
Affinché non si dica che tutta la mia enfasi sugli Dei, divinità, cieli, invisibili, sia esagerata e troppo elevata, voglio ricordare che i pianeti dimorano in costellazioni con forme e nomi di animali, dove si trovano perfettamente a loro agio. Perché chi ha dato il nome a quelle parti del Cielo non ha usato falchi e civette o colombe, aquile od uccelli azzurri, ma animali terrestri come serpenti e scorpioni, pesci e granchi, capre, cavalli e tori? Cosa significa la preponderanza di questo tipo di animali?
Per la nostra mentalità occidentale “animale” vuol dire bestiale, stupido, senza favella, che occupa il gradino più basso della scala evolutiva. Ma in tempi più antichi, ed ancora oggi in molti luoghi della terra, gli animali sono gli insegnanti più saggi dell’umanità, spiriti guida e compagni dell’anima. Alcuni terapisti stanno cercando di recuperare questa connessione arcaica con gli animali, ma l’astrologia lo fa da sempre. Nato nell’anno della Tigre – che bello! Sole in Cancro – ooh! Marte in Toro e Venere nello Scorpione – attento! Queste forme animali che pervadono l’immaginario astrologico presentano gli animali come canalizzatori di poteri invisibili. Gli animali sono forme del divino, esattamente quello che pensavano gli antichi egiziani e che ancora affermano le culture del Giappone scintoista e della Polinesia, fino all’Africa ed ai nativi americani. L’astronomia continua a lavorare su spazi fatti a forma di animale, ottenuti tirando delle linee tra punti luminosi di stelle. Unite i puntini, e vedrete l’Invisibile divenire un toro, un leone, una coppia di pesci…
L’astrologia lavora matematicamente, e normalmente si potrebbe pensare che numeri ed animali hanno poco in comune fra loro, gli uni astratti, gli altri concreti come il loro sangue, gli artigli, i peli ed il veleno. Ma ci sono due importanti passaggi nei testi di cosmologia della cultura mitologica occidentale e islamica che mettono insieme numeri ed animali. Il primo lo troviamo nell’Arca di Noè, quando descrive dettagliatamente le misure per costruire la barca che deve contenere gli animali. Il secondo è il Timeo di Platone (verso 55): lì possiamo leggere di una figura a dodici lati usata dal creatore per il “tutto”. Platone descrive le forme geometriche dei quattro elementi, ed un’altra per il quinto che li contiene tutti, e “che è a forma di animale”. Questa figura a dodici lati e a forma di animale la ritroviamo in un’altra opera di Platone, La Repubblica (verso 589), dove egli presenta “l’immagine simbolica dell’Anima” come un animale dalle innumerevoli teste, alcune mansuete, altre feroci.
Nell’antica cosmologia non c’è distinzione tra il geometrico e l’organico; essi stanno assieme per dirci che i calcoli matematici non hanno solo lo scopo di centrare l’attenzione nel caso studiato e renderlo astratto in un modello schematico. I numeri sono anche modalità di quantificazione dei vari poteri animali, la bestia a molte teste che ci rivitalizza e segna il cammino da compiere, la guida istintuale che agisce come Compagna dell’Anima. Ecco di nuovo il pericolo dell’astrologia: mentre giochiamo con i numeri ed i gradi, stiamo in realtà scoprendo l’Animale che guida la nostra anima, o più esattamente che guida l’intero Cosmo. E, non dimentichiamolo, sono gli animali – compreso l’animale uomo – che il dio biblico considera come l’unica parte della creazione che vale la pena di salvare, tramite i deliberati ed esatti calcoli matematici di Noè.
Per concludere, se non fosse vera, se i suoi calcoli non fossero che un rituale ed i suoi riferimenti ai pianeti fisici nient’altro che una metafora, perché persone istruite, intelligenti, razionali, come quelle raccolte qui oggi dovrebbero parlare di astrologia? Perché in volo su un aereo che potrebbe portarci diritto fino alla morte, la prima cosa che facciamo è aprire il nostro giornale all’ultima pagina, quella della previsioni mensili? Perché quando captiamo qualche pettegolezzo pensiamo a Mercurio retrogrado, od analizziamo il comportamento del nostro partner in base alla sua Luna mutevole, o aspettiamo qualche cambiamento finanziario radicale quando abbiamo un transito sulla seconda casa? Anche se leggendo quell’ultima pagina dobbiamo mettere da parte l’incredulità, sentendoci un po’ vergognosi di non aver saputo resistere a leggere gli imbrogli di quell’indovino.
Allora, perché dobbiamo rivolgerci all’astrologia? Quello che l’anima cerca, desidera; perché ne siamo affascinati così facilmente? Perché tramite quell’ultima pagina, troviamo la nostra Stella, il daimon che governa una parte del nostro Destino, l’altra metà. Cerchiamo qualcosa che ci metta in contatto con quel compagno primigenio, quel fratello o quella sorella del cielo che vive fuori dal nostro corpo fisico e che tuttavia divide con noi la vita in ogni istante – e questo istante potrebbe essere anche quello della morte – il daimon del nostro fato, la Moira – una parola greca che significa semplicemente porzione, la metà di Paracelso. In quell’ultima pagina cerchiamo, tra saggi consigli ed avvertimenti, le predizioni e le lusinghe, così enigmatiche ma allo stesso tempo familiari, che ci mettano in contatto con quei poteri, ritmi e miti del cosmo, ci sollevino da quell’aereo che vola a 35.000 piedi, al di là delle persone e dei problemi, dei giorni buoni e di quelli cattivi. Quei piccoli paragrafi sulla Vergine o la Bilancia disegnano nelle nostri menti un linguaggio non terreno, fatto di stelle ed animali celesti dove l’anima possa ritrovare la sua casa.
Sebbene la notte stellata sia oscurata dall’inquinamento, le stelle siano tutte spente ed i segni zodiacali sbiadiscano sulle pubblicità commerciali, Marte e Venere ridotti ad emblema del sesso e la Luna ormai solo ad un posto dove piantare una bandiera americana, nonostante tutto, il linguaggio dell’astrologia, i suoi rituali matematici, i suoi sacerdoti, i suoi incantesimi ed amuleti che posso tatuare su un muscolo o appendere alla gola, riescono a tenere lontano tutti i mali dal mio corpo conteso da Gilette, Exxon, Disney, McDonald e la Banca d’America. Un tocco d’astrologia – basta un lieve accenno – e torna il Cielo, torna il Destino.
Astrologi, voi avete ricevuto una chiamata che viene dall’alto, servite quello che non è umano, l’altra metà. Non preoccupatevi di usare parole troppo elevate o spirituali, gli Dei non si curano di essere inflazionati; sanno come proteggersi meglio di noi mortali. Il fatto che si bilancino l’un l’altro conserva il loro potere e forse è proprio per questa ragione che sono immortali, incuranti di ogni usurpazione da parte di qualunque ideologia monoteista.
NOTE
1) Parola Yiddish che vuol dire coraggio, intraprendenza, capacità di avere i nervi saldi
2) An Intimate History of Humanity, Harper & Collins, 1994 pag. 339
3) The Soul Code, ed. italiana Il codice dell’Anima, Adelphi