Il Linguaggio astrologico della dea

Il Linguaggio astrologico della dea

IL LINGUAGGIO ASTROLOGICO DELLA DEA
di Mariagrazia Pelaia

Marija Gimbutas ha dedicato la sua vita allo studio della cultura dei popoli europei dell’età neolitica, studiando e classificando reperti, e soprattutto decifrando i motivi simbolici ricorrenti della ricca iconografia rinvenuta (manufatti trovati in grotte, in siti sepolcrali e in complessi megalitici abitativi e cultuali: perlopiù, piccole sculture, vasi e oggetti di uso quotidiano).
La Gimbutas ha lavorato alla sua opera fondamentale (Il linguaggio della Dea, Longanesi, 1990; Neri Pozza, 1997)1 nel decennio compreso fra il 1975 e il 1985, caso davvero sorprendente: in esatta coincidenza con quello che le Nazioni Unite hanno proclamato il Decennio delle Donne. All’avvio del lavoro i pianeti lenti si trovano in maggioranza schiacciante nei segni femminili (Plutone in Bilancia, Nettuno in Sagittario, Saturno in Cancro e Giove in Pesci; soltanto Urano si trova in un segno maschile: lo Scorpione). Nel 1981 Urano passa in Sagittario, e quindi la triade dei lentissimi al completo occupa segni femminili. Nello stesso anno Giove e Saturno sono in Bilancia, per cui si può affermare che l’anno astrale sia tutto rosa. Quando nel 1983 Plutone entra in Scorpione e Nettuno nel 1984 in Capricorno l’opera della Gimbutas è ormai conclusa.
Il decennio 1975-1985 è infatti un’epoca d’oro per gli studi e i progressi del mondo femminile, dal campo politico a quello familiare a quello sociale le donne lottano per il riconoscimento di importanti diritti (lavoro, salute ecc.) e ottengono lusinghieri successi (fra cui il referendum per il divorzio e l’aborto, tanto per fare un paio di esempi di casa nostra).
Mentre a livello planetario l’universo femminile comincia a diventare una realtà pulsante di iniziative, un’archeologa lituana esamina le tracce di una cultura che ha dominato in Europa fra il 7000 e il 3500 a.C., elaborata quindi inizialmente nell’eone del Cancro. Il culto principale che emerge da antiche pietre vivacemente decorate è quello di una Dea-uccello acquatica, lunare, signora delle trasformazioni, delle arti, degli animali e dei cicli di vita-morte-rinascita.

Nell’anno della pubblicazione, il 1989, una poderosa tripletta planetaria in Capricorno (Nettuno, Urano e Saturno) saluta l’uscita di una di quelle opere che suggeriscono all’astrologo di scuola morpurghiana la possibilità che l’Età della Luna abbia già sostituito la massmediatica Età di Mercurio. L’ammasso in un segno ha per effetto il risucchio nell’opposto campo zodiacale e cioè quello cancerino, dando finalmente a Saturno l’opportunità di riprendersi i suoi panni matriarcali di Atena, dopo un lusinghiero servizio di stella perdente e tuttavia “autoritaria” nel sistema patriarcale.
Marija Gimbutas si è avvalsa dei nuovi studi di archeomitologia per riportare alla luce la cultura prepatriarcale e preindoeuropea stanziata in Europa nel Neolitico. Dal suo esame accurato dei motivi figurativi di un cospicuo numero di manufatti si delinea una cultura organizzata intorno al culto di una Dea Madre Creatrice, in cui l’universo è il corpo della dea e in cui tutte le cose viventi al suo interno partecipano della sua divinità. Ma la cosa più suggestiva da un punto di vista astrologico è che simboli e figure ricorrenti presentano sconcertanti affinità con la simbologia zodiacale legata ai pianeti femminili.
È probabile che nell’Età della Luna la memoria (funzione per eccellenza lunare) di un’alternativa femminile diventi sempre più pressante, tanto da trasformarsi da ipotesi affascinante in realtà storica documentata (seppure non da informazioni scritte).
La Grande Dea descritta da Marija Gimbutas viene spesso raffigurata come una Dea Uccello, e i simboli che l’accompagnano in questa epifania sono la V e la chevron (doppia V). L’astrologa (e mi permetto scherzosamente qui una generalizzazione al femminile) coglie immediatamente una corrispondenza ricca di suggestione: la V è una forma stilizzata della vulva e del triangolo pubico (nonché del becco di un uccello, compagno inseparabile della Dea neolitica), e il pianeta astrologicamente associato ai genitali femminili è Venere (sarà un caso che nel taurino idioma italiano l’iniziale di Venere, vulva e vagina sia tuttora una V? Da notare per inciso l’ipotesi che il termine Italia derivi dall’osco (V)Italia, ovvero ‘terra ricca di vitelli’: ed è forse superfluo ricordare che uno dei domicili venusiani è proprio il segno del Toro). Un’altra corrispondenza simbolica del «dolce pianeto che d’amar conforta» è quella con le attività artistiche e la Dea del Neolitico compare anche in numerosi motivi figurativi come «Dispensatrice delle arti» (filatura, tessitura, metallurgia, lavorazione della selce e strumenti musicali). Nel domicilio taurino Venere è strettamente collegata all’amore per gli animali e per la natura, e la Dea del Neolitico possiede anche un corredo iconografico che giustifica la sua designazione come «Signora degli Animali» e «Signora dei Monti»: in questa sua veste esprime l’idea di unità bio-geologica della natura (Natura=Luna). Nel domicilio cancerino infatti Venere si allea alla Luna, e alla signora delle maree appartiene tutta la simbologia acquatica, ciclica e spiraliforme che appare come quella più caratteristica della Dea, connessa alla nascita, alla fertilità e alla tomba, non fine ma punto di passaggio per il ciclo successivo, così come nella sua veste di luminare astrologico.
Alla Luna si può riferire anche il misterioso motivo della linea tripla e del potere di tre, probabilmente discendente ideale del triangolo, ovvero figura stilizzata del pube, identificata come centro di potere creativo della Dea. La triplicità inoltre è tipica rappresentazione delle fasi lunari: crescente, piena e calante, e ben note sono le triadi in cui le divinità femminili e soprattutto lunari amano comparire nelle mitologie di tutto il mondo, soprattutto in quella greca. Robert Graves designa le persone di questa trinità femminile come Vergine, Ninfa e Vegliarda, ognuna delle quali presiede a una fase della vita: Nascita-Fertilità-Morte, ciclo destinato continuamente a ripetersi, evocando l’idea di un’incessante rigenerazione. In Donna – Una geografia intima, Natalie Angier dopo aver osservato che l’utero è composto da tre tipi diversi di tessuto (miometrio, membrana sierosa ed endometrio) aggiunge: « Al nostro organismo piace il numero tre, e così anche l’endometrio è fatto di mucosa a tre strati». A questo organo femminile di “triplice fattura” è associata una nuova interpretazione funzionale, dovuta a Margie Profet (una biologa evoluzionista, vincitrice di premi scientifici prestigiosi come il Macarthur Fellowship, nonché scienziata indipendente e con passioni politiche radicali), che si è posta a proposito delle mestruazioni il seguente quesito: «Come e perché sanguiniamo? Perché abbiamo evoluto questo ciclo di morte e rinnovamento dell’endometrio?». Secondo lei la mestruazione è un meccanismo di difesa contro i patogeni che potrebbero introdursi insieme allo sperma. «Il nostro endometrio deve morire, affinché noi possiamo vivere».
Ecco un punto di possibile raccordabilità fra sapere scientifico (in questo caso biologico) e sapere umanistico (in questo caso mitologico), con l’astrologia a fare da trait-d’union: la Luna infatti è signora della ciclicità, cioè di una particolare visione del tempo che rende contemporanei passato, presente e futuro. Ovvero il ciclo Vita-Morte-Vita a cui allude Clarissa Pinkola Estes in Donne che corrono con i lupi, opera che resterà una pietra miliare nel recupero della simbologia creativa al femminile, nell’imminenza della scoperta del pianeta, per ora ipotetico, che la rappresenta: X-Proserpina. Apro qui una parentesi sulla generale associazione che gli studiosi contemporanei fanno dell’astrologia con il pianeta Urano, opposto naturale della Luna: secondo me si tratta di un vero e proprio equivoco, poiché Urano, concentrato sul presente e sull’azione immediata e pratica ha ben poco a che fare con la sapiente scienza dei cicli e delle corrispondenze sincroniche fra segni celesti e fatti terreni. Certamente, al noto fenomeno della dialettica zodiacale (ovvero la legge che impone lo “sfruttamento” simbolico del settore opposto: per esempio l’editoria-Capricorno che vive della letteratura-Cancro) è attribuibile il fatto che gli uraniani si approprino della scienza lunare a scopi commerciali (gli astrologi operano spesso per fini pragmaticamente utilitari, ossessionati da tecniche sempre nuove, e sono stati fra i primi a utilizzare il computer per accelerare i tempi “di lavorazione” incrementando i profitti). L’astrologia che invece è lunare, apparentemente indocile e capricciosa, se a volte si presta a farti ottenere risultati strepitosi, la volta dopo ti lascia con un palmo di naso: questa secondo me è una sublime forma di autodifesa dall’utilitarismo uraniano (che implica la miope specializzazione verginea). La compresenza dei tempi della simbologia lunare infatti rimanda a concezioni olistiche ancora ben lontane dalla mentalità scientifica e comune del nostro abbagliante sistema solare, ancora semplicisticamente proiettato sul raggio-freccia del tempo lineare. Torniamo al pianeta X-Proserpina per evocare la scoperta più stupefacente nel corredo iconografico della Dea neolitica che un’astrologa morpurghiana potesse fare: il manto di un toro decorato con una moltitudine di x che campeggia su un vaso cipriota del XIII-XII secolo a.C. (fig. 419 pag. 271). La x viene interpretata dalla Gimbutas come connessione di due v capovolte, e quindi un rafforzamento della simbologia di potere creativo femminile ad essa associata. Espresso in termini astrologici un rafforzamento della simbologia venusiana, che morpurghianamente si traduce in Proserpina, il cui glifo di incognita transplutoniana è proprio… la x. Troviamo quindi nell’antichissimo apparato iconografico di questo lontanissimo culto neolitico un simbolo “casualmente” scelto da Lisa Morpurgo per designare il pianeta Proserpina, il cui domicilio primario è nel segno zodiacale del Toro, lo stesso segno che apre lo Zodiaco femminile e matriarcale del sistema b. La simbologia affiancata a Proserpina, in quanto opposta naturale di Plutone, è quella di utero e principio creativo femminile (ecco perché questo pianeta è rimasto finora nell’ombra, apparentemente inoperoso come la “metà del cielo terrestre” a lei corrispondente). Si potrebbe ipotizzare che la sua individuazione sarà accompagnata da un’esplosione creativa al femminile su scala planetaria. In parte si può dire che questo stia già avvenendo: per esempio, vi è un forte movimento artistico-spirituale collegato al “Risveglio della Dea” in atto negli Stati Uniti, che propugna una ricostruzione dell’universo artistico svilito dagli atti distruttivi e decostruttivi delle avanguardie novecentesche (si rimanda al proposito al paragrafo intitolato Ridefinire il coraggio e ricreare la vita ne Il piacere è sacro di Riane Eisler, Frassinelli, 1996, pp. 474-9). Speriamo dunque che le notizie per ora infondate sulla scoperta di un pianeta transplutoniano si tramutino presto in segni anticipatori dell’effettivo avvistamento.
Un altro emblema degno di interesse che può spiegare la scelta del toro (e probabilmente, in origine, della vacca) come simbolo di rigenerazione associato all’utero è il cosiddetto bucranio, ovvero il teschio dell’animale: esso è sorprendentemente simile alle raffigurazioni anatomiche dell’apparato genitale femminile (Linguaggio della Dea, fig. 411, p. 265). Astrologicamente, una delle attribuzioni compiute da Lisa Morpurgo per Proserpina in analogia con la funzione corrispondente dell’opposto Plutone (testicoli = seme maschile) è quella con l’utero e le ovaie = seme femminile. Dunque, o nel Neolitico si aveva una sensibilità archetipica affine a quella della nuova visione astrologica morpurghiana, o si possedeva nella sua interezza un sistema zodiacale che è stato recuperato dalla studiosa con la forza e la volontà di una logica indomabile e puntigliosa. Quello che mi fa ipotizzare che l’elaborazione del sapere astrologico possa risalire all’età neolitica, tuttavia, è l’ossessione figurativa della spirale, considerata simbolo del divenire, della trasformazione e della ciclicità, spesso collegata al serpente (simbolo di saggezza): la stessa figura che dorme nel cuore della simbologia del codice zodiacale decifrato da Lisa Morpurgo, nella struttura del dna, nella forma delle galassie, nelle produzioni mandaliche dell’inconscio… Secondo me l’astrologia è il sapere al femminile tout court (e sotto le sue declassate spoglie di arte divinatoria questa scienza attira soprattutto le donne, sia nelle vesti di studiose che di consultanti), sopravvissuto miracolosamente alle censure e ai dileggi di migliaia di anni di patriarcato. Questo spiegherebbe anche le ire cieche della parte più retriva dell’establishment scientifico-patriarcale nei suoi confronti (e non per nulla è stata scacciata dalle università europee in piena età marziana).
E come mi propongo di esaminare in un saggio a parte vi è una forte risonanza fra simbologia zodiacale e culto lunare della Dea Bianca che Robert Graves (La dea bianca, Adelphi, 1992; l’originale risale ai primi anni Sessanta) ha ricostruito facendo i “raggi X” ai miti e alla letteratura dell’antichità mediterranea e celtica. Scrive Marija Gimbutas: «Abbiamo conoscenza di processioni di animali come simboli del tempo ciclico grazie all’onnipresenza dello zodiaco astrologico. Lo zodiaco che conosciamo è molto antico, ma la tradizione di vortici e processioni di animali che stimolano i moti del tempo lo è ancora di più. […] Gli animali raffigurati in marcia in serie di cinque o più, o che girano attorno a un centro, sono noti dai dipinti vascolari dell’antica Europa, dalle incisioni minoiche su sigilli e dai bassorilievi nei templi maltesi. … Le femmine degli animali compaiono accanto ai maschi… Il raddoppio dei sessi probabilmente ne raddoppia la forza» (p. 302). Questo porta subito alla mente il complesso sistema zodiacale che dà origine al nostro sistema solare: esso prevede due sistemi denominati A e B, uno patriarcale e uno matriarcale, ciascuno formato dalla sovrapposizione e fecondazione reciproca di uno zodiaco femminile e uno maschile.
L’antenato neolitico dello Zodiaco (ovvero dal greco Zodion, probabilmente ‘Strada degli animali’) e la rappresentazione sessualmente sdoppiata di ogni animale alla sua base, costituisce una vivida immagine plastica per tradurre la sovrapposizione dello Zodiaco maschile e femminile ricostruita da Lisa Morpurgo. Questo lontano richiamo neolitico rende suggestiva l’ipotesi che quello giunto a noi sia il relitto mutilato di uno strumento una volta perfetto e parlante, o quantomeno di un sapere integro che si è disperso lasciando qui e là tracce enigmatiche, sfuggite magari a iniziati perseguitati. «Nei dipinti vascolari, gli animali possono appartenere a un vortice a sua volta parte di un disegno vorticoso più ampio», scrive Marja Gimbutas, e più avanti descrive in particolare: «Questo fregio è il circolo interno di un’ampia composizione quadrangolare con quattro circoli più piccoli posti a ognuno dei punti cardinali» (p. 302). In questo mandala neolitico si associano in modo suggestivo i richiami zoologico-zodiacali con lo schema quaternario della riproduzione dei sistemi planetari.
Motivi ricorrenti e ossessivi dell’arte neolitica sono spirali opposte (costituite da falci di luna e teste di serpente) e vortici organizzati in cornici quadrangolari. Le spirali sono «intese a stimolare il processo del divenire» (pag. 293) e i «segni a vortice sembrano assicurare un agevole passaggio da una fase alla successiva» (p. 295). A cosa altro alludono i vortici del processo esaltatorio, se non alla messa in moto di un processo vitale che coinvolge un intero sistema planetario?
Si può dire che nel Neolitico si celebravano i moti levogiri e destrogiri in cui è organizzata la vita nell’universo e che escono elegantemente dai grafici zodiacali decodificati nella cui circolarità uroborica giacciono impliciti e invisibili, come lo spartito muto di una sinfonia dimenticata.
I disegni riprodotti alla pag. 297 del Linguaggio della Dea, sono estremamente vicini allo schema planetario quadripartito degli Zodiaci morpurghiani. La figura 470, che illustra un piatto ornato con un doppio vortice levogiro-destrogiro, evoca visivamente il vortice dei moti esaltatori, solo che Lisa Morpurgo aveva rinunciato all’ipotesi dei sistemi matriarcali destrogiri… Questo piatto potrebbe però suggerire altri spunti di ricerca in questo senso (un’ipotesi: un sistema quadripartito destrogiro opposto a quello levogiro, ovvero il nostro. Del resto i fisici sono arrivati con l’ultima Teoria del Tutto di Edward Witten all’ipotesi di un universo a undici dimensioni…). La fig. 471 riproduce disegni quadripartiti con un cerchio centrale circondato da quattro cerchi o occhielli contenenti dei simboli. Uno di questi è il seme doppio: e cioè, due emisferi staccati e contrapposti, proprio come ogni Zodiaco dialetticamente spaccato in due metà… Fantasticare su queste immagini neolitiche alla luce delle ipotesi “fantazodiacali” di Lisa Morpurgo è davvero emozionante: la scoperta di un filo logico teso fra Eone del Cancro ed Età della Luna potrebbe essere il segnale di una rinascita e di un rinnovamento della selenica scienza astrologica. E a proposito di scienza, abbiamo riservato per ultima l’indagine della simbologia astrologica di Saturno, che pure ha lasciato cospicue tracce nel corredo ornamentale e negli usi sacrali e funerari di questa civiltà neolitica insediata nella Vecchia Europa prima dell’arrivo degli indo-europei. Per ultima, perché Saturno nel nostro tradizionale zodiaco patriarcale è considerato un pianeta maschile, pur essendo esaltato nel segno dell’alternativa al femminile per eccellenza, ovvero la Bilancia. Il Saturno che qui prenderemo in esame è quindi l’alternativa al Sole, in quanto stella del sistema a maschile: ovvero l’Atena stella guida del sistema b femminile.
Con Saturno ci distacchiamo da una simbologia connotata in senso più sessuale (così come il Sole non simboleggia nessuna parte dell’apparato genitale maschile, pur costituendone la “quintessenza” a livello psicologico e riassumibile nelle qualità del nostro muscolo cardiaco) e troviamo a livello anatomico una associazione con le ossa (e i denti), in quanto parti più resistenti e durevoli del nostro organismo. Statuette note come “nudi rigidi”, che facevano parte dei corredi funerari, erano scolpite nell’osso. E le ossa compaiono nella simbologia della Dea rilevata da Gimbutas, che la definisce colei «che uccide e rigenera», caratterizzata da uno «stretto legame tra il tipo di tomba, la Vecchia strega, le ossa secche e la morte della natura in inverno» (op. cit. pag. 211). Gli ingressi alle tombe erano solitamente allineati con il passaggio lunare al solstizio d’inverno. Tuttavia tutti questi simboli sono sempre connessi a simboli della rinascita. Viene in mente la Loba, mitica creatura di un racconto messicano splendidamente evocato da Clarissa Pinkola Estes (Donne che corrono con i lupi) che draga un fiume alla ricerca di ossa, soprattutto di lupi, e poi quando ha ricostruito uno scheletro vi soffia sopra e lo riporta in vita. Oppure il teschio infiammato di Vassilissa, depositario di saggezza unita ad intuizione, tesoro custodito dalla terribile Baba Jaga.
Le ossa saturnine nell’archeomitologia neolitica e nel folklore dell’umanità sono quindi fedeli compagne della Dea: in questa rappresentazione archetipica possiamo riconoscere il Saturno ormai “Saturnia” dei sistemi zodiacali B.
Un altro simbolo saturnino insistente nella cultura neolitica dell’antica Europa è quello della pietra: gli ortostati, i cerchi di pietre, le pietre della fecondità, i menhir… In particolare, i cerchi di pietra, o henge, dell’area anglo-scozzese sono sempre connessi all’acqua, sia perché includono una fonte nel loro centro o perché comunque sono collegati a fonti d’acqua. Il simbolo saturnino della pietra si trova dunque associato all’elemento femminile per eccellenza, quello dell’acqua, tradizionalmente governato dalla Luna, alchimista cosmica di tutto quanto è liquido. È come se nella cultura prepatriarcale neolitica Saturno lasciasse una traccia della sua vera natura… Se consideriamo che la Grande Dea del Neolitico è sempre la stessa nelle sue varie epifanie di Dea Uccello, Dea serpente, Dispensatrice di vita e di morte, Colei che uccide e rigenera ecc. ritroviamo tutte queste caratteristiche nell’Atena greca, dea della sapienza, accompagnata da una civetta o da un serpente. La simbologia del serpente è multiforme: forza vitale, simbolo seminale, epitome del culto della vita su questa terra. Come afferma Marija Gimbutas: «La Dea era, in tutte le sue manifestazioni, il simbolo dell’unità di tutte le forme di vita esistenti nella Natura. Il suo potere era nell’acqua e nella pietra… Di qui la percezione olistica e mitopoietica della santità di tutto quanto è sulla Terra.
Quella cultura [cioè quella neolitica, N.d.A.] si deliziò dei prodigi naturali di questo mondo. Il suo popolo non produsse armi letali né costruì fortificazioni… (…) Fu, quello, un lungo periodo di notevole creatività e stabilità, un’epoca priva di conflitti. La cultura di quel popolo fu una cultura dell’arte». Abbiamo in questo lontano ricordo storico la prefigurazione dell’alternativa Bilancia, con i suoi totem di pace e amore contrapposti alla cultura zodiacale dominante arietina di guerra e odio che ha funestato la lunga storia del nostro pianeta. Ma questa è già materia per un nuovo saggio, in cui esploreremo questa dialettica attraverso il prisma di una brillante sociologa americana, Riane Eisler, che fa una lettura estremamente zodiacale della cultura umana, riassumibile nella dialettica “società della dominanza” contrapposta a “società della partnership”, come dire Ariete opposto a Bilancia…

Note:

1. Il numero di pagina più avanti indicato nelle citazioni è valido per entrambe le edizioni

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